“Il caso ha voluto che 18 anni fa, mi imbattessi, per motivi professionali, in un gruppo di bambini bielorussi ospiti di una colonia del mio territorio. Avrei potuto scriverne un articolo, come ho fatto, restando però “indifferente” a quegli abbracci desiderosi di una mamma, a quei corpicini bisognosi di aria pulita, a quei visini che bramavano una carezza. Non mi è stato possibile: quell’incontro ha dato una svolta alla mia vita e da quel momento ho messo in moto quei meccanismi che hanno consentito, negli anni, a centinaia di quei bambini di trovare delle famiglie accoglienti. Le povertà nel mondo sono tante e le condizioni di vita dei minori in Bielorussia non sono tra le più disperate, eppure, in Bielorussia ci sono ancora molti orfanotrofi, si registrano maternità precoci e abbandono di neonati per svilimento di valori parentali o per alcolismo, le cure sanitarie faticano a far fronte a malattie dovute agli effetti perduranti delle radiazioni nucleari. In questo luogo ci muoviamo in punta di piedi, col rispetto che si deve ad un Paese sovrano, che va aiutato, ma non colonizzato, sostenuto valorizzandone gli aspetti culturali, linguistici, etnici. Eccoci dunque, noi famiglie accoglienti a ritrovarci per confronti di esperienze al fine di avere chiari gli obbiettivi che ci spingono ad ospitare, con la stessa responsabilità di genitori, ma scevri dal senso di “possesso” lo stesso bambino; eccoci ad organizzare per loro corsi formativi, occasioni di svago e sport come la scuola di calcio o di sport subacquei. Sempre noi, andare in Bielorussia, macinando con camper e auto gli oltre duemila chilometri, caricando aiuti umanitari, costruendo sul posto serre, laboratori, acquistando dotazioni sanitarie, sostenendo alla maternità ragazze minorenni; ancora noi, con dottori clown e art terapisti per portare un sorriso e un po’ di “pedagogia sociale” a quei piccoli”.